Foto Vincenzo Lima

Ciò che siamo, ciò che crediamo di essere

Foto Ciò che siamo, ciò che crediamo di essere

Il caustico dialogo tra Jep e Stefania ne “La grande bellezza” mostra quanto ancora, dopo 2400 anni, l’invito di Socrate ad impegnarsi per conoscere se stessi sia rimasto largamente disatteso. La distanza tra quello che Stefania crede di sapere di sé e della sua vita e quello che sa veramente è abissale. Come d’altra parte accade per ognuno di noi. Jep, novello Socrate, con ironia e determinazione, a malincuore, straccia il velo dell’ignoranza e lascia per un attimo Stefania nuda davanti a se stessa, dopo averle infranto le sue convinzioni più importanti: di essere una buona cittadina, una buona moglie e una buona madre.

Accettare di dialogare con Socrate richiedeva il coraggio di esporsi ad una chirurgica e dolorosa analisi dell’anima che ti trafiggeva e poteva segnarti per la vita. Non a caso Socrate diceva di sé di essere un tafano, un animale molesto e non a caso 280 giurati votarono nell’agorà per la sua messa a morte

Jep e Socrate odiano la presunzione che si nutre dell’ignoranza di sé; Socrate perché impedisce la ricerca, Jep perché impedisce la compassione.

La nostra psiche lavora per noi e contro la verità, perché la verità è dura, a volte dolorosa, a volte troppo dolorosa. E noi, in un tempo in cui le persone cercano più like che critiche, ci accontentiamo di una comoda narrazione su noi stessi che ci tolga il tormento di fare i conti con la nostra limitatezza, col nostro ingenuo crederci in fondo in fondo degli dei e ci impedisce di crescere, cambiare, metterci alla prova, perdere, vincere.

Di rado ho incontrato qualcuno capace di dire, con verità, quello che Socrate diceva di sé: "sono uno a cui piace altrettanto criticare che essere criticato" e mi piacerebbe esserlo io.

 

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ANSA

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